Roma si è svegliata qualche giorno fa tappezzata di oscuri manifesti dall’enigmatico titolo “Trust the Plan” con un Matteo Renzi reinterpretato in chiave cyberpunk. Una super cazzola alla “Amici miei”, una campagna virale occultamente finanziata dallo stesso Renzi o un modo efficace (e tutto sommato, economico) per bucare con ironia il muro di gomma della comunicazione politica? Ne abbiamo parlato con Matteo Roncaglio, mematore professionista che, in combutta con ‘Società Aperta’ (nomen omen!) ed altre realtà del panorama memetico italiano, ha rivendicato l’azione di comunicazione guerriglia in questione.
Lo avete già raccontato nelle molte interviste e articoli che vi sono stati dedicati in questi giorni, ma cosa avete realizzato qualche giorno fa, a Roma, affiggendo una serie di cartelloni aventi come protagonista (a sua insaputa) Matteo Renzi?
L’idea è nata e si è sviluppata in pochissimi giorni. In meno di un mese abbiamo raccolto i soldi necessari, i contatti e sviluppato questa “iniziativa” che aveva un’unica funzione: far ridere noi in primis.
L’intento era di “riportare questa roba in strada dov’è nata” con un’operazione che, di fatto, proveniva da giovani ma che si inseriva nel mondo “dei grandi”.
L’intento era di creare una sorta di “tam tam” mediatico che, tra l’altro, c’è stato visto che sotto i post di Matteo Renzi tutt’ora fanno capolino persone anche non giovani che scrivono “Trust The Plan” nei commenti.

…Ma sapete se e come ha reagito Renzi?
Pare che abbia riso molto.
L’affissione ‘Trust the Plan’ dedicata a Renzi aveva come primo obiettivo quello di ‘debunkare’ (smascherare) le teorie complottiste all’italiana che lo vedevano come protagonista, un po’ per tutto, come ci avete detto. Ma non è un po’ da complottisti negare, a priori, l’esistenza di qualunque ‘complotto’?
La lettura è ambivalente. Volevamo davvero “debunkare” un complotto inesistente, o volevamo esporlo al punto da renderlo talmente ridicolo da essere inverosimile?
Mio nonno mi diceva di raccontare sempre la verità per avere la certezza di non esser creduto da nessuno.
Provate a pensarci. Erano 31 anni che l’Italia non vinceva l’Eurovision e l’ha vinto coi Maneskin proprio quest’anno: potrebbe mai non esistere un piano superiore per spiegare tutto questo?
Renzi intervistato da Myrta Merlino ha, recentemente, confermato che era dal 2019 che sognava Mario Draghi come Presidente del Consiglio.
Sicuramente non era un sogno solo suo, ma anche di tutti noi. E, forse, non solo.
La politica si è sempre più mediatizzata e ha spostato sui social molta della sua attività e identità, venendo cavalcata da strumenti che pensava di cavalcare. La vostra recente campagna di affissioni è anche una forma di ritorno al reale, un modo per ribadire il primato dell’esperienza concreta e tangibile su quella virtuale?
La campagna ha più che altro un valore “artistico” e di protesta.
Tutto è nato per via di alcuni cartelloni pro governo Conte. Cartelloni che lo dipingevano come vengono ritratti i dittatori in altri luoghi del mondo: sguardo sognante, la dedica “dei cittadini” e la luce divina ad illuminarne il volto. Il nostro scopo era esporre quanto un certo tipo di comunicazione politica sia ridicola e caricaturale proprio per via del mezzo utilizzato.

Una cosa che forse molti osservatori non hanno notato è che ‘Trust the plan’ è anche uno degli slogan di Qanon, la presunta entità oscura di Trump che detta la narrazione (complottista) circa una lotta tra un fronte del bene (Trump) e un fronte del male (il deep state pedo-satanista). Delle due l’una: o siete sul libro paga di Trump oppure volevate dire qualcosa anche a proposito di Qanon?
Lo slogan “Trust The Plan” viene bannato automaticamente dai social. Abbiamo dunque optato per un sobrio “Trust The Plan Bischero” per fare il verso all’origine toscana di Renzi.
Parlando a livello personale, se la tecnica italiana potesse persino influenzare le elezioni americane ne sarei quasi orgoglioso. Speriamo di non avere Epstein nostrani.
Perché per sentire qualcosa di realmente diverso dal monotono coro mainstream che domina più o meno tutti gli spazi di confronto e dibattito pubblico, si deve spesso ricorrere alla beffa, al meme o alla provocazione?
I meme sono una nuova forma di comunicazione e la loro replicabilità li rende più efficaci per veicolare le idee rispetto altri metodi.
Lo stesso Richard Dawkins (a cui dobbiamo l’invenzione della parola “meme”) spiegava che era un comportamento o un’idea che si diffonde all’interno di una cultura. Se avessimo fatto un cartellone con una foto normale e senza sfruttare l’estetica vaporwave sarebbe probabilmente passato inosservato.
Non è troppo dissimile comunque da quanto fatto dai radicali in passato: ancora oggi ricordiamo Pannella che fuma una canna in tv o che regala un panetto di fumo ad una presentatrice.
Le persone reagiscono a quello che va oltre “l’intensità media” dei messaggi che sono abituati a sentire. Il gioco è trovare come comunicare in un modo replicabile.

Sui prossimi progetti bischero-virali che avete in mente potete dirci qualcosa? Ovviamente siamo così complottisti da pensare che abbiate già una lunga agenda di attività (pagate da chissà chi)…
Stiamo aspettando nuove direttive dal Nuovo Ordine Mondiale. Le cene con George Soros sono sempre divertenti, ma difficilmente parliamo di lavoro: si vedrà!
Intanto, se volete restare aggiornati sul Piano, visitate il sito www.trusttheplan.it!