Instagram, Facebook e dintorni: attenzione al ‘Kali Yuga’ dei nostri tempi

da Chiara Soldani

Una proliferazione di carne, di corpi. Un consumismo visivo, prima ancora che reale. Nichilismo imperante, narcisismo manifesto: la necessità impellente, famelica, esistenziale dell’apparire prima ancora che dell’essere. Che il problema non siano i social in sé bensì il loro utilizzo, il “messaggio non messaggio ” da essi veicolato, è constatazione lapalissiana. Il giochetto, subdolo, della deresponsabilizzazione alla “non è colpa mia, così fan tutte!” in questo caso regge poco e pure male. Anche se il sociologo Marshall McLuhan sosteneva che “il mezzo è il messaggio”, è l’individuale uso del “mezzo social” a far propendere l’ago della bilancia dalla nostra parte: da quella della personale, singola, responsabilità.

La cronistoria dei social network ci porta a ripensarli come clamorosi autogol in zona Cesarini. L’illusione iniziale della “agorà 2.0” dove ognuno potesse, liberamente, esprimersi ed esporsi, ha col tempo lasciato spazio ad una nuova “realtà orwelliana”: scandita a suon di ban, censure, limitazioni.

Un po’ come l’incolpevole protagonista del film “The Truman show”: vittima di una realtà non reale, di una vita non vita, di un destino non destino. Un gigantesco, antesignano reality show: dove i parenti, gli amici, gli affetti più cari del protagonista non sono “volti ” bensì “maschere” (parafrasando Pirandello). Esattamente come la sottile, labile linea di demarcazione che separa il social dalla realtà (quella vera).

Oggi Facebook è più che mai il regno del “politicamente corretto”, della famigerata “dittatura del pensiero unico” che ha (a macchia d’olio), esteso la sua onnicomprensiva egemonia. Instagram, invece, preserva strenuamente la sua stucchevole, fatua, egoriferita vanità.

Un circo più o meno umano, dove l’Essere fatica ad accedervi: per lui, il biglietto costa il prezzo dell’impopolarità, dei pochi “likes”. Instagram come macelleria umana (di carne più o meno idrogenata): il moderno Postal market, a portata di click. Il trionfo del consumismo in ogni sua forma, di un materialismo becero, volgare, stereotipato e insulto. La rappresentazione plastica della “società liquida” teorizzata da Zygmunt Bauman è quanto mai attuale. Instagram, ben oltre Facebook ed altri social, evidenzia impietosamente l’incoerenza di chi professa l’Idea, i valori, i meritevoli esempi, scivolando però in un cratere profondo: fatto di omologazione, superficialità, ipocrisia.

Zygmunt Bauman

Perché chi contesta i nuovi “miti ” (benedetti da sinistra e progressismo), i nuovi mostri che del “mostrare” ed ostentare hanno fatto il loro Credo, cifra stilistica meccanicamente replicata, non può seguire quella stessa, torbida corrente.

Sempre Bauman, illuminato precursore della moderna deriva (come fu Evola), così scrisse: “Abbandonate ogni speranza di totalità, futura come passata, voi che entrare nel mondo della modernità liquida”.

Un monito, oggi mal interpretato dai più. La scusa dei vili per sottrarsi alla battaglia difficile, alla partita in trasferta e su campo ostico: esattamente come è questa “vita moderna”.  Vista e vissuta “dalla parte sbagliata, da quella del torto”, come suggeriva Bertolt Brecht. Il punto è uno e pure ben evidenziato: usare i social responsabilmente, esserne padroni e non prede. Perché, sì: la Rivoluzione tanto pronunciata, invocata, deve passare anche da qui. Sfruttando a proprio vantaggio (a supporto delle idee, dei valori, di quello Spirito che in un mondo di scadenze ravvicinate è invece a lunga conservazione), questo strumento veloce, potente, pervasivo. Come? Facendosi testimoni di coerenza, fidi difensori di contestate e boicottate eredità: combattendo sì “i nuovi mostri” alla Ferragnez (per intenderci), senza fallacemente adottarne il “modus operandi“. Meno corpo, meno carne in questa “vetrina di macelleria”, per favore! Rievochiamo, nel nostro, il messaggio immortale di Degrelle, l’invito senza tempo di D’annunzio: “Difendete il pensiero che essi minacciano, la bellezza ch’essi oltreggiano!”. Mai schiavi, schiave soprattutto, di questo effimero, lobotomizzato, vanesio Kali yuga: per arrivare al nuovo, agognato Satya yuga, anteponiamo l’anima alla carne, il messaggio al nulla cosmico, il contenuto al mero, temporaneo contenitore.

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