Eliot e Pound: poeti, amici.

da Mario Michele Merlino

Thomas Stearns Eliot, premio Nobel del 1948, lo si considera fra i maggiori poeti di lingua inglese del Novecento e i suoi versi, aristocratici ed evocativi, hanno segnato la poesia e non soltanto quella anglosassone. La crisi della modernità con il carico di disperazione angoscia aridità sono la cifra del suo originario poetare, una delle chiavi più alte ove intendere e rappresentare la condizione dell’uomo emerso dalla fornace ardente della Grande Guerra, ove nel fango delle trincee dall’irrompere della tecnica vennero lacerate la carne le ossa e, con esse, un universo di valori e significati. Vi fu chi rispose scegliendo la via nuova di idee, atte a cambiare il mondo, forse con molte illusioni e qualche inganno di troppo; chi si raccolse intorno al proprio io dolente, fra incubi e solitudini simili a sbarre e chiavistelli o, come farà lo stesso Eliot, riemergere alla speranza nel solco della tradizione religiosa. Un viaggio, l’esistenza, in un mondo che, simile al Purgatorio, raccoglie una umanità fragile e nella colpa, ma pur sempre in attesa di redenzione a venire.                                                                                           

Nel 1922 pubblica La terra desolata dopo aver incontrato a Parigi l’amico Ezra Pound a cui sottopone il testo, accogliendo suggerimenti correzioni e tagli, e a cui dedica il poema con dantesco richiamo al ‘miglior fabbro’. Esso s’apre con i versi seguenti: «Aprile è il mese più crudele, genera – Lilla da terra morta, confondendo – Memoria e desiderio, risvegliando – Le radici sopite con la pioggia della primavera. – L’inverno ci mantenne al caldo, ottuse – Con immemore neve la terra, nutrì – Con secchi tuberi una vita misera». Nel 1925, tre anni dopo, compone con denuncia più acuta ed aspra Gli uomini vuoti. Asciutta composizione che si conclude con i versi «E’ questo il modo in cui finisce il mondo (reiterato tre volte) – Non già con uno schianto ma con un piagnisteo».

Mese di aprile 1945, Nord Italia, altrettanto crudele e più feroce. Sono i giorni ove ‘pietà l’è morta’. I partigiani scendono dai monti invadono le città, si costituiscono i ‘tribunali del popolo’ con condanne a morte eseguite sul posto e un succedersi di regolamenti dei conti. Il 27 del mese gli americani della divisione Buffalo entrano a Genova. Anche in Liguria si scatena la caccia ai fascisti, reali e presunti, e le vendette si protraggono per tutto il mese di maggio. Il 3 maggio due partigiani armati di mitra bussano furiosi alla porta della casa ove risiede Ezra Pound a Sant’Ambrogio, nelle colline sopra Rapallo. Lo prelevano – riesce a prendere con sé l’opera di Confucio e il Dizionario di lingua cinese. Sperano in una ricompensa consegnandolo al comando alleato. Dal luglio del ’43 gli è stato spiccato mandato di cattura, con l’accusa di tradimento verso gli USA, una sua foto è stata distribuita fra le truppe in Europa.  Il 24, caricato su una jeep, viene portato al DTC (il Disciplinary Training Centre) di Metato nei pressi di Pisa non lontano dal campo di prigionia di Coltano, dove sono ristretti circa trenta mila prigionieri della RSI. L’ordine è di mantenerlo sotto stretta sorveglianza e di non concedergli alcun privilegio. Difatti prima lo chiudono in una gabbia la luce che l’abbaglia di notte e giaciglio il nudo pavimento. Poi una tenda e la possibilità di scrivere (una fotografia lo ritrae con le maniche della camicia arrotolate proteso verso la tastiera di una Remington, il volto scavato, simile ad un uccello da preda che, al posto dei rostri, possiede le visioni e la parola).                                                                  

Questa la condizione tesa a fiaccarne il corpo e confonderne la mente, premessa del suo trasferimento in America di un processo sempre negatogli – difendersi spiegare essere semmai accusatore – gli undici anni al S.Elisabeth’s Hospital, vero e proprio manicomio criminale (puntare il dito, liquidare come follia per evitare di confrontarsi con le idee è gioco osceno e comodo. Anni dopo, in un mondo che solo in apparenza  si definì ostile e contrario, in Unione Sovietica, gli ospedali psichiatrici registreranno una nuova malattia mentale, la dissidenza). In questo avvilimento, nascono, però – risposta alta ed altra – i Pisan Cantos.                                                                                             

Eliot e Pound, poeti. Erano stati amici, ribelli contro l’eclissi che il mondo moderno si stava dando – eclissi della poesia dell’arte della tradizione della parola -, rinnovatori del reale e delle cose e dell’origine della condizione umana. Il verso si rende verbo e scava nella putredine e denuda il male. È in una gabbia incapace però a nascondere ‘sotto nuvole bianche, cielo di Pisa – da tutta questa bellezza qualcosa deve uscire’, che si manifesta come il loro peregrinare si sia distanziato. ‘… e pure dite questo al Possum (leggasi Eliot): uno schianto, non una lagna – uno schianto, non una lagna – Per costruire la città di Dioce che ha terrazze color delle stelle’. Testimone fedele ad un mondo di uomini e di donne che s’erano levati in armi ed ora pagavano il duro e aspro prezzo della sconfitta. Eliot s’è arrestato a rappresentare il Purgatorio, attesa di una speranza messianica a venire; Pound, pur avvertendo ormai d’essere simile a ‘formica solitaria d’un formicaio distrutto – dalle rovine d’Europa’, non rinnega aver osato scrivere Paradiso condividendo appunto e nulla rinnegando la storia di quegli uomini di quelle donne. Alla parola vinta, che non equivale ad avere torto, rimane il silenzio. Come aveva tratto e fatta sua l’iscrizione dalla cappella di Ixotta nel Tempio Malatestiano di Rimini, a fronte di questo mondo sciatto e vile egli sceglie di fare suo quel tempus loquendi, tempus tacendi… perché «Ho cercato di scrivere Paradiso – Non muoverti, – Lascia che il vento parli – questo è Paradiso». Monito severo volto a sé stesso e a noi tutti, non segno di resa.

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