“Proletari di tutto il mondo, condividete”

da Roberto Asse

«Uno spettro si aggira per l’Europa», anzi, per il globo. Non è il Covid-19 né il prossimo virus che alimenterà la pandemia finale, con annessa Vaccinofania salvifica. E non è neanche lo spettro del comunismo profetizzato da Marx. La pustola infetta da rimuovere si chiama proprietà privata. Solo la nostra però, perché entro il 2030 dovrà essere tutta loro. È il dogma della Sharing Economy: la proprietà è vetusta, medievale, arrogante; meglio l’affitto, la locazione di ogni e qualsivoglia bene. Non più proprietari – tranne pochi privilegiati che terranno le redini – ma sorridenti locatari. Però, non c’è nulla da temere: il passaggio non sarà così drastico e lacerante. Come ci indica Desiree van Welsum, soldatina della Banca Mondiale, le due economie – vecchia e nuova – possono essere complementari (per quanto tempo, però, non si sa).

Del resto, non siamo già proiettati verso la new economy, essendo affittuari evoluti di una quantità indescrivibile di servizi? Appartamenti, auto, banche online, musica, intrattenimento, ma anche vacanze, sport, baby parking. E ora anche la scrivania dell’ufficio sarà in sharing: grandi aziende, sfruttando la pandemia, hanno sforbiciato i costi operativi, lasciando i dipendenti senza una postazione in ufficio, in nome della fluidità, della condivisione e della felicità incontenibile che scaturisce dalla mancanza della propria sedia. Così, ogni lavoratore dovrà provvedere, alla bisogna, a prenotare una sedia, un tavolo e una lampada su cui ‘fatturare, produrre, lavorare’. Ovviamente in questo esempio apparentemente banale c’è già molto del new work, recepito con straripante e coinvolgente felicità, in nome del dio-progresso…

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