La bellezza salverà il mondo – Intervista a Massimo Pacilio

da Massimo Pacilio

Ha ancora un significato, oggi, l’abusata frase “La bellezza salverà il mondo” dell’Idiota di Dostoevskij? Forse sì. Perché in una umanità sempre più abbrutita e tribalizzata l’unico antidoto è la riscoperta del bello, del vero e del giusto. Di questo è convinto Massimo Pacilio, un docente, autore di libri e conferenziere decisamente controcorrente.

Nella moda e nei costumi contemporanei il “Trash” è un filo culturale e di intrattenimento, che riempie gli scaffali delle librerie, i negozi di abbigliamento, nonché i feed dei social e i palinsesti tv. Perché, in generale, questa fascinazione?
Quando ci capita di guardare qualche programma televisivo del passato, notiamo subito una caratteristica oggi rara: la divulgazione della letteratura. Le opere della nostra letteratura, come quelle della letteratura francese, inglese o dell’antica Grecia, sono state ampiamente diffuse, contribuendo a formare e a consolidare il sostrato culturale del Paese. Si suscitava, così, una riflessione sulle questioni fondamentali che riguardavano l’uomo e la civiltà.

Tutt’altro discorso quando ha fatto irruzione in questo mondo la concorrenza commerciale. Se all’inizio anche la pubblicità era fatta con un certo contegno, per non imporre ossessivamente il consumo, in seguito, con lo sviluppo delle tecniche di vendita, lo spettatore è stato investito da una valanga di messaggi pubblicitari. Già nell’Ottocento la pubblicità ebbe la forza di piegare i quotidiani di informazione alle proprie esigenze. Un secolo dopo essa ha penetrato e dominato la televisione, trasformandola nel suo strumento privilegiato, inducendo una vertiginosa moltiplicazione dei “falsi bisogni”. Tuttavia, più i popoli procedono verso il cosiddetto “villaggio globale”, più i singoli si sentono deprivati di qualsiasi appartenenza etnica e nazionale. Il dogma della modernità ci vuole, infatti, tutti uguali e, per contrasto, nasce l’impulso a marcare vieppiù la personalità, per non smarrirla nella folla indefinita. Si avverte l’esigenza di appartenere a qualcosa – che sia un genere musicale, una moda dell’abbigliamento, un modo di parlare. L’uomo, dunque, reagisce cercando di distinguersi, ma dal momento che ha perduto la costellazione dei princìpi con cui poteva orientarsi nel mondo, finisce per accettare le distinzioni più facili e superficiali, dall’abito al tatuaggio, dal piercing all’acconciatura dei capelli, nell’illusione di essere controcorrente, quando è in realtà immerso in uno pseudo-anticonvenzionalismo imposto dai media.

Inquinare l’uomo con messaggi apparentemente leggeri, allegri e divertenti: è una strategia?
Sì, è un efficace metodo di penetrazione nella psiche, perché abbassa le difese e le capacità critiche. Così, anche il corpo femminile, ad esempio, è stato ampiamente sfruttato per veicolare beni che non avevano alcun tipo di rapporto con la bellezza muliebre…

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