Sembra che la campagna pro-gender abbia fatto un passo in avanti: dalla presunta ‘tutela di una minoranza vessata e discriminata’, si è ora passati alla piena accettazione e alla diffusione costante di modelli sessualmente indefiniti. E’ corretto?
Bisogna essere molto realisti: la campagna gender i suoi ‘passi avanti’ li ha fatti ormai da alcuni anni. Al giorno d’oggi, l’ideologia gender è vincente su tutti i fronti, preponderante ovunque, sostanzialmente intoccabile. Una responsabilità enorme ricade tuttavia anche su chi avrebbe avuto il dovere di opporsi a tale deriva. Certo, non è mancata la buona volontà o le intenzioni (basti pensare alle manifestazioni oceaniche contro la deriva gender organizzate in questi anni), è purtroppo mancata la strategia e, mi spiace dirlo, l’intelligenza. Un avversario ‘impalpabile’ come un’ideologia, veicolata attraverso i mass-media, la cultura dominante, lo spettacolo, va combattuta sul suo campo, ossia quello della cultura. Bisogna creare cultura, fare ‘costume’, ancor prima che scendere in piazza. Non solo contro il gender. Il fallimento generale d’ogni forma di resistenza alla deriva anti-umana a cui stiamo assistendo ha la sua radice nell’incapacità di creare cultura, di generare ‘stati di spirito’: arte nella quale, al contrario, i nostri nemici sono abilissimi.
Che ruolo svolgono quelle trasmissioni televisive solo apparentemente ‘leggere e divertenti’ (es. quelle di Barbara D’Urso) che pullulano di soggetti ‘sessualmente fluidi’ o palesemente travestiti nel sesso che non appartiene loro? Fanno solo ridere (e che ridere…) o fanno anche male e lavorano alacremente per la sovversione?
Ti rispondo con le parole di Paul E. Rondeau, il consulente di Corporate America che già nel 2002 indicava le strategie per una ‘genderizzazione’ globale della cultura…
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